I nostri mari sono pieni di plastica! Questo è diventato uno dei problemi ambientali più urgenti da affrontare, sia per la sua gravità, sia perché lo abbiamo ignorato per troppo tempo. Negli ultimi decenni la produzione e il consumo di oggetti in plastica ha visto una crescita esponenziale e ha prodotto fenomeni di inquinamento sulla terraferma e in mare soprattutto in molti paesi dell’Asia e dell’Africa, dove i sistemi di raccolta dei rifiuti sono spesso inefficienti o inesistenti.
Da oltre un secolo l’uomo ha acquisito la capacità di produrre materie plastiche dalla lavorazione dei carburanti fossili, la produzione e lo sviluppo di migliaia di nuovi prodotti in plastica ha avuto una crescita dopo la Seconda guerra mondiale, trasformando e caratterizzando in modo profondo la nostra società.
Non esiste praticamente settore dell’attività umana che non sia stato influenzato da oggetti in plastica: dalla medicina, alle automobili, aerei, dispositivi di ogni tipo che hanno reso più facile le nostre vite.
Alcuni prodotti sono stati costruiti per durare solo pochi minuti come ad esempio le buste di plastica per la spesa, ma sono destinati a durare nell’ambiente per centinaia di anni.
Il prezzo che stiamo pagando per questo diffuso uso della plastica è l’inquinamento in tutti i mari del mondo e, scoperto solo negli anni recenti, gli effetti delle microplastiche nelle catene alimentari, fino all’uomo.
Le materie plastiche, infatti quando si trovano in mare si degradano alla luce solare in particelle inferiori al mezzo centimetro e si diffondono su tutta la colonna d’acqua, ma sono state rinvenute in cima all’Everest e nell’Artico.
Si continuano poi a degradare in particelle sempre più minute ed entrano nell’acqua potabile e restano in sospensione nell’aria.
La pandemia ha peggiorato la situazione dei nostri mari. Dopo il lockdown, alcuni volontari di Legambiente hanno ripulito 43 spiagge diverse dislocate in 13 regioni diverse, trovando più di 28mila rifiuti. Di questi, circa l’80% era composto di plastica. La rimanente parte era costituita principalmente da vetro, ceramica, gomma e legno lavorato.
La pandemia ha determinato un peggioramento del trend. Con la diffusione di guanti, mascherine e confezioni monouso, l’impiego di plastica è aumentato notevolmente. Inoltre secondo uno studio effettuato dall’Ispra i rifiuti lungo le spiagge costituiscono solo la punta dell’iceberg. Il problema è ancora più grave nei fondali, anch’essi pieni di plastica.
I fondali vicini alla Sicilia e alla Sardegna hanno la maglia nera, rispettivamente con 786 oggetti rinvenuti (più di 670 chili) e 403 (87 chili). Anche qui circa l’80% è fatto in plastica, anche se gli oggetti più di frequente ritrovati sui fondali sono frammenti di reti per la pesca, realizzate in nylon.
Sia Greco che Farci concordano nell’affermare che una misura importante e urgente da adottare è tutelare i pescatori che raccolgono rifiuti. Quotidianamente infatti nelle reti da pesca restano intrappolate quantità importanti di bottiglie, microplastiche e altri rifiuti che si trovano in mare. Tuttavia i pescatori hanno l’obbligo di raccoglierli, portarli a riva e poi pagare una tassa per il loro smaltimento. “Questo significa che il più delle volte i pescatori rigettano quei rifiuti in mare” spiega Carola Farci.
Per evitare che ciò accada il Parlamento sta valutando l’approvazione di una legge cosiddetta Salva-mare, che di fatto esenterebbe i pescatori dal costo di smaltimento dei rifiuti trovati in mare.
“Togliere l’obolo – ha detto Francesco Greco ad upday – significa premiare chi contribuisce a ripulire il mare, che ad oggi è paradossalmente punito”. Anche Carola Farci si batte da mesi per una rapida approvazione della legge, “che si occupa di un tema sul quale non dovrebbero esserci divisioni politiche”. Secondo l’insegnante è anche necessario “mettere al bando il polistirolo per le casse di pesce e istituire un organo di controllo terzo che possa multare pesantemente i Comuni che non fanno una buona differenziata e non puliscono adeguatamente le proprie spiagge”.
“Fare Verde promuove un ambientalismo del quotidiano, cioè che coinvolge la vita di ogni giorno di ciascuno di noi. Ci siamo accorti nel tempo che alle nostre attività di volontariato si uniscono sempre più spesso interi nuclei familiari”. Greco ha concluso commentando che “questo significa che, anche grazie alla scuola e ai media, c’è una consapevolezza sempre maggiore verso l’ambiente, specie nelle generazioni più giovani”.
L’inquinamento della plastica è uno di quegli aspetti in cui ogni cittadino può fare la differenza.
Sebbene il sostanziale cambiamento di rotta può essere ottenuto solo con il coinvolgimento della filiera produttiva che può sostituire i prodotti plastici con prodotti realizzati in altri materiali alternativi e in plastica riciclata, e delle pubbliche amministrazioni che devono organizzare la raccolta e il riciclo dei prodotti plastici, ognuno di noi deve sentire forte l’impegno nel corretto smaltimento dei rifiuti plastici, nell’utilizzare sacche per la spesa multiuso e molti altri comportamenti che possono ridurre il consumo di plastica e generare una nuova richiesta sui mercati di prodotti realizzati con materiali e processi produttivi sostenibili.
Smettere di acquistare bottiglie di plastica per bere l’acqua, sostituendole con la scelta di un purificatore d’acqua Newline.
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